La magistratura può risalire la china soltanto e soprattutto con la cultura, prima ancora che con le leggi; ritornando a ragionare di una cultura della legalità sostanziale, della reputazione, della responsabilità.
In questo lungo periodo di “detenzione forzata”, a causa dell’epidemia da coronavirus, molto di quel che davamo per scontato si è dimostrato, alla prova dei fatti, quanto mai fragile e pericolante. La giustizia, con tutto il suo portato di esperienze, non ha fatto eccezione. Il virus non ha provocato, ma enfatizzato una crisi già in atto e che investe la legge, la figura del giudice, il processo e la questione della pena: non solo serpeggia un senso di sfiducia nei confronti della giustizia e in chi la amministra, ma lo scontro fra politica e magistratura si fa sempre più acceso, producendo i ben noti cortocircuiti che hanno popolato le pagine dei giornali in tempi recenti. In questa riflessione, acuta e oggi più che mai attuale, l’ex presidente della Corte costituzionale pone al centro del dibattito il rispetto della legge fondamentale dello stato e il recupero di una tradizione legislativa e culturale capace di riportare l’attenzione sui grandi temi – dalla riforma del Csm alla ragionevole durata del processo, per dirne solo un paio – che giocoforza devono tornare ad alimentare un dibattito all’interno della comunità degli addetti ai lavori e in seno al Parlamento. Ma non solo: quello della crisi della giustizia è un problema che investe la società tutta e risolverlo è non solo impellente, ma necessario: per questo, oggi, bisogna trovare le parole giuste per affrontare la questione, come fa Giovanni Maria Flick in questo saggio lucido, diretto, che non ostenta e non fa giri di parole.
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Texte original
Oui -
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Italien -
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À propos de l'auteur
Giovanni Maria Flick
Giovanni Maria Flick nasce a Ciriè (Torino) nel 1940. Sposato, con tre figlie e sei nipoti, vive a Roma. Dopo la laurea in Giurisprudenza a 23 anni viene chiamato a dirigere la Città dei ragazzi di Roma. A 24 anni vince il concorso in magistratura qualificandosi primo a livello nazionale. Nel 1976 lascia la magistratura per la cattedra di Diritto penale – prima all’università di Perugia, poi alla LUISS di Roma – e intraprende anche la carriera di avvocato penalista. Le interrompe entrambe nel 1996 con la nomina a ministro della Giustizia nel governo Prodi I. Nel febbraio del 2000 viene nominato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Cinque anni dopo assume la carica di vicepresidente e nel 2008 ne diventa presidente.