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Mai, prima del Fuoco, l’orrore della guerra era stato mostrato con tanta rabbia e cruda precisione. Pacifista fino all’invasione tedesca, lo scrittore e giornalista Henri Barbusse si era arruolato volontario alla fine del 1914. Due anni dopo, convalescente per le ferite riportate in combattimento, organizzò in forma narrativa il diario tenuto al fronte, scrivendo un classico dell’antimilitarismo che anticipava le opere di Hemingway e Remarque. Storia di un gruppo di soldati semplici francesi, il romanzo fu pubblicato nel pieno del conflitto, vinse il premio Goncourt e sconvolse l’opinione pubblica europea, del tutto impreparata ad accettare la verità della guerra moderna. La presa di coscienza morale e politica dei protagonisti rispecchia quella del loro autore: è una consapevolezza che si nutre dell’esperienza vissuta, ma anche dell’efficacia dello stile trovato per raccontarla. Perché, attraverso le accensioni poetiche che illuminano lo spietato realismo del racconto, Barbusse lascia trapelare la speranza che proprio quegli uomini, costretti a trasformarsi in carnefici, possano un giorno rovesciare le strutture oppressive che governano il mondo.

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