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Tanino nasce ed Esterina, sua madre, muore nel metterlo al mondo: una ferita originaria che s’imprime nella sua carne come disperata incapacità d’amare. Le generazioni si susseguono, i destini s’intrecciano, follia e saggezza si tengono per mano, in un percorso labirintico attraverso un lungo arco di tempo, sullo sfondo d’una striscia di terra tra il vulcano e il mare, luogo reale e mitico al tempo stesso, fiaba metafisica, in cui vita e morte coabitano. Adulti e bambini, donne e uomini, si portano incollato addosso uno stigma che li obbliga a una lotta serrata, quasi epica, con le proprie lacerazioni. Gaetano, Lucia, Nunziata, Salvatore, Amalia, Eugenio, in modi e con esiti diversi, s’avventurano in percorsi di conoscenza segnati da luci e ombre, orrori e tenerezze. Maria Antonietta Vito, con uno stile affabulatorio, quasi da cantastorie, costruisce un racconto polifonico, dai colori a tratti foschi, a tratti solari, con una voce narrante che adotta lo sguardo di ciascun personaggio, ne segue i passi, ne esplora le emozioni, ne cattura i pensieri, ora con ironia, ora con compassione, ora con vibrante simpatia.

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