«Immagino, mia cara Yvonne, che il tuo naso e la tua gola stiano meglio. Io sto bene», scrive Sylvain Bloch in una lettera vidimata ufficialmente dal campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Sarà l'unica che invierà. Yvonne gli risponderà trentadue volte senza ottenere mai risposta. In pochi lo sanno, ma tra il 1942 e il 1945 fu attiva la Brief-Aktion, un sistema ufficiale di corrispondenza tra circa tremila ebrei francesi deportati ad Auschwitz e le loro famiglie. Cartoline brevi, che in un'Europa segnata dalla guerra riuscivano incredibilmente ad arrivare a destinazione, rappresentando spesso per chi era rimasto o era riuscito a nascondersi l'unica occasione di contatto con i propri cari. La Brief-Aktion è un capitolo della Shoah poco noto ma sorprendente, e a più di settant'anni dalla liberazione dei campi queste testimonianze aiutano a far luce su zone ancora inesplorate della macchina propagandistica nazista. Strani messaggi di speranza scritti sotto costrizione, obbligatoriamente in tedesco e vagliati dalla censura, utili forse a rassicurare il mondo sulla clemenza dei campi di lavoro, o forse a stanare altri ebrei da deportare. E infatti i prigionieri si abituavano a un linguaggio cifrato, a complesse macchinazioni per recapitare queste lettere a casa di amici così da non mettere in pericolo la propria famiglia. Non c'erano solo queste cartoline ufficiali, però, perché dal campo partivano anche lettere clandestine che a volte riuscivano a evitare i controlli, portando notizie assai meno speranzose sul destino dei deportati. In una di queste, Sally Salomon scrive poche, dolorose parole: «È solo la speranza di rivederti che mi dona la forza di vivere e di abbracciarti presto». Le Lettere da Auschwitz ci immergono così nella realtà terribile del campo di concentramento, mostrandoci la vita quotidiana al suo interno, le speranze e le preoccupazioni di chi sapeva che non avrebbe più rivisto la propria casa e i propri cari. Scavando negli archivi inediti del memoriale della Shoah di cui è responsabile, Karen Taïeb alterna cartoline ufficiali e carteggi clandestini, riuscendo a ricostruire tassello dopo tassello la storia personale di ventidue deportati. Questo libro è la storia di ventidue persone, strappata all'oblio dell'Olocausto e riconsegnata finalmente alla nostra Storia e alla nostra memoria.
«Nel complesso va tutto bene, il cibo è buono, ma non c'è paragone con la tua cucina.» - Jacques Ruff, Blocco 18, 27 febbraio 1945
«La vita che conduciamo è una vita di lavoro sovrumano. Ho tenuto duro e ancora tengo duro. Terrò duro. Voglio rivedervi» - Leib-Léon Goldstein, lettera clandestina, 23 maggio 1943
«Salutate la mia amica René Claude Turcan, a Marsiglia, e ditele che sto bene e che spero che si ricordi dei bei dischi che ascoltavamo insieme.» - Paul Cerf, sotto pseudonimo, 4 giugno 1944
«Anche queste, a dirla tutta, sono forme di lotta: ogni "messaggio nella bottiglia" emerso da questi 25 metri lineari d'archivio è, e ciascuno a modo suo, un inno alla vita. Comunque, nonostante tutto.» - Carlo Greppi - Tuttolibri
«Nel complesso va tutto bene, il cibo è buono, ma non c'è paragone con la tua cucina.» - Jacques Ruff, Blocco 18, 27 febbraio 1945
«La vita che conduciamo è una vita di lavoro sovrumano. Ho tenuto duro e ancora tengo duro. Terrò duro. Voglio rivedervi» - Leib-Léon Goldstein, lettera clandestina, 23 maggio 1943
«Salutate la mia amica René Claude Turcan, a Marsiglia, e ditele che sto bene e che spero che si ricordi dei bei dischi che ascoltavamo insieme.» - Paul Cerf, sotto pseudonimo, 4 giugno 1944
«Anche queste, a dirla tutta, sono forme di lotta: ogni "messaggio nella bottiglia" emerso da questi 25 metri lineari d'archivio è, e ciascuno a modo suo, un inno alla vita. Comunque, nonostante tutto.» - Carlo Greppi - Tuttolibri
Book details
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Publisher
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Language
Italian -
Publication date
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Page count
272 -
Translator
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Theme
About the author
Karen Taïeb
Karen Taïeb è la responsabile degli archivi del Memoriale della Shoah di Parigi. Da anni studia e recupera le lettere dei deportati.