Èdifficile comprendere pienamente cosa Charles Dickens abbia rappresentato per i suoi contemporanei. Forse solo un autentico old Dickensian poteva sapere con quale trepidazione gli inglesi aspettassero i fascicoli azzurri con le nuove puntate del Circolo Pickwick. Basti pensare che la prima uscita fu stampata in quattrocento esemplari, la quindicesima in quarantamila. Quando Dickens lo lesse in pubblico, l’Inghilterra andò in delirio e le sale furono prese d’assalto. “L’effetto di un fenomeno letterario di tali proporzioni, sia dal punto di vista della diffusione che del coinvolgimento emotivo esercitato sul pubblico” scrive Zweig “può realizzarsi solo in concomitanza della presenza di due elementi perlopiù divergenti: la presenza di uno spirito geniale che riesca a inserirsi nella tradizione di un’epoca”. Pur annoverandolo, insieme a Balzac e Dostoevskij, tra i tre maggiori narratori ottocenteschi, lo scrittore austriaco non gli risparmia qualche bordata: “Soddisfatto nei confini della propria cultura nazionale, mai ha sentito l’esigenza di trasgredire la misura artistica, morale o estetica dell’Inghilterra. Non si pose come un rivoluzionario. […] Tentò sempre di raggiungere la tragedia, ma non superò mai i confini del melodramma”. Eppure, alla fine, all’“inesauribile poeta” che fu Dickens, Zweig perdona anche questo, perché “solo quando si detesta la stupida ipocrisia della cultura vittoriana si può valutare giustamente il genio di un artista che ha trasformato la più insignificante delle vite in poesia”.
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Italian -
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54 -
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