La vita del protagonista di queste pagine è stata in apparenza semplice: non ha quasi mai parlato, ha solo scritto, e la scrittura è stata la spina dorsale della sua esistenza, l’unico modo per sottrarsi al silenzio. Come suo nonno, protagonista del Ghetto interiore, negli anni Venti si era lasciato alle spalle Chełm, la città polacca della sua infanzia dove tutti parlavano yiddish, per raggiungere l’Argentina, cosí Santiago Amigorena, a fine anni Sessanta, compie, con la sua famiglia, il viaggio in senso inverso: da un’America Latina dalla democrazia sempre piú fragile verso l’Europa, e piú precisamente la Francia. A dodicimila chilometri di distanza, arroccato nel «ghetto interiore» di un fragoroso silenzio, suo nonno si era trovato ad assistere allo strazio della sua famiglia per mano nazista. Santiago, da parte sua, cresce rinserrato in un’afasia totale e, anni dopo, è spettatore, muto, della cancellazione violenta di un’intera generazione di argentini. L’esilio, si sa, può offrire mille possibili anime identitarie, ma nessuna da poter fare propria, da poter abbracciare definitivamente. L’anima rimane straniera per ogni esule. Dove trovare dunque una patria se non nella lingua che, proprio perché non è «madre» può farsi strumento di grande libertà? Attraverso una scrittura scarnificata, nitida di chi ha voluto, o dovuto, abbandonare la lingua natia adottandone una nuova, al modo di Jan Potocki, Samuel Beckett, Agota Kristóf e molti altri prima di lui, Santiago Amigorena si affida in queste pagine al «mestiere macabro di chi dissotterra i ricordi», alla necessità della memoria ma anche dell’oblio – borgesianamente il solo perdono e la sola vendetta –, in un’autofiction che si fa vera e propria autobiografia dell’anima.
«So che quando si evoca un ricordo, quando lo si estrae deliberatamente dalle dune della memoria, altri emergono o si perdono per sempre; so, come ogni bambino che sia cresciuto su una spiaggia, che è inutile scavare nella sabbia asciutta perché, per quanti granelli si tolgano dal fondo, ne cadono altrettanti dai lati».
Hanno detto de Il ghetto interiore:
«Amigorena spinge la compassione oltre i limiti della possibilità narrativa». Le Monde
«Una voce forte con un’eco che rimane a lungo anche dopo l’ultima pagina». Le FigaroDetalles de eBook
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