Rileggere – o leggere per la prima volta – cosa scriveva questo grande maestro di vita, prima che di diritto, negli anni dal 1935 al 1956, in una serie di aneddoti e di considerazioni piene di humour, provoca nel lettore (in qualunque lettore, anche se sprovvisto di esperienza giuridica) un’emozione da grande scoperta. Dalle pagine di Calamandrei balza un quadro vivacissimo e pieno di realismo, illuminato da un’aneddotica professionale e da una ricca messe di regolette preziose sulla difficile convivenza tra i due banchi dell’udienza: «L’avvocato deve sapere in modo così discreto suggerire al giudice gli argomenti per dargli ragione, da lasciarlo nella convinzione di averli trovati da sé»; «Il cliente non sa che molte volte, dopo una vittoria, dovrebbe andare ad abbracciare commosso non il suo avvocato, ma l’avvocato avversario»; l’indipendenza dei giudici «è un duro privilegio, che impone, a chi ne gode, il coraggio di restar solo con se stesso, a tu per tu, senza nascondersi dietro il comodo schermo dell’ordine superiore». Calamandrei insiste particolarmente sul motivo della comunanza delle vite parallele: «Il segreto della giustizia sta in una sempre maggior umanità e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro il dolore: infatti il processo, e non solo quello penale, è di per sé una pena, che giudici e avvocati devono abbreviare rendendo giustizia». Guardi il lettore il fregio di questo libro: una bilancia nella quale il piatto più pesante è quello che porta una rosa, rispetto all’altro, che porta un codice: la poesia batte il diritto. (dall’Introduzione di Paolo Barile).
Détails du livre
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Éditeur
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Langue
Italien -
Langue d'origine
Italien -
Date de publication
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Nombre de pages
406 -
Collection
À propos de l'auteur
Piero Calamandrei
Giurista e professore universitario, nel 1925 aderisce al Manifesto degli intellettuali antifascisti e collabora con la testata «Non Mollare» insieme a Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli. Durante il Ventennio fu uno dei pochissimi professori e avvocati che non chiese la tessera del Partito nazionale fascista, continuando sempre a far parte di una rete di opposizione al regime. Nel 1941 aderisce al movimento Giustizia e Libertà e un anno dopo è tra i fondatori del Partito d’Azione. Nel 1945 è nominato membro della Consulta nazionale e nel 1946 è eletto all’Assemblea costituente. Nell’aprile del 1945 fonda il mensile «Il Ponte». Tra le sue opere principali Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Uomini e città della Resistenza, Inventario della casa di campagna, Fede nel diritto.