Gli anni ruggenti dell'alpinismo himalayano
Mentre cresceva la tensione fra le potenze europee negli anni Trenta del XX secolo, in Himalaya si stava già combattendo una battaglia di altro genere. I migliori alpinisti provenienti dal Regno Unito, dalla Germania nazista e dagli Stati Uniti avevano attrezzato i loro campi base alle pendici degli Ottomila, sperando di conquistare le vette più alte, comprese l’Everest e il K2. Diversamente dagli alpinisti di oggi, disponevano di pochissime mappe e fotografie, non avevano bombole d’ossigeno efficienti, indossavano scarponi di cuoio e giacconi di tweed. Ma contro ogni pronostico, andarono più in alto di quanto fosse possibile immaginare. E non appena raggiunsero dei record di altitudine straordinari, su di loro si concentrò l’attenzione dei media e della politica mondiale. Gli alpinisti venivano assediati dalla stampa alle stazioni dei treni indiani, erano celebrati in film e in rappresentazioni teatrali. James Hilton creò la mitica Shangri-La in Orizzonte perduto mentre un eccentrico alpinista inglese di nome Maurice Wilson partiva per il Tibet per scalare l’Everest da solo e a bordo di un biplano che aveva appena imparato a pilotare. Intanto, nei corridoi del ministero nazista per la propaganda, i gerarchi scoprivano l’importanza di piantare la bandiera tedesca su un Ottomila.
Ambientato a Londra, a New York, in Germania, in Tibet e in India, I conquistatori del cielo è una storia non solo di alpinismo, ma anche di passione e ambizione, coraggio e follia, tradizione e innovazione, tragedia e trionfo. Ellsworth si muove fra le strade di Manhattan e di Berlino e le pareti scoscese del Nanga Parbat, in mezzo alle rivolte nel Kashmir e nel paesaggio rarefatto della Nuova Zelanda, dove un uomo di nome Hillary sognava di salire in cima all’Everest.
Mentre cresceva la tensione fra le potenze europee negli anni Trenta del XX secolo, in Himalaya si stava già combattendo una battaglia di altro genere. I migliori alpinisti provenienti dal Regno Unito, dalla Germania nazista e dagli Stati Uniti avevano attrezzato i loro campi base alle pendici degli Ottomila, sperando di conquistare le vette più alte, comprese l’Everest e il K2. Diversamente dagli alpinisti di oggi, disponevano di pochissime mappe e fotografie, non avevano bombole d’ossigeno efficienti, indossavano scarponi di cuoio e giacconi di tweed. Ma contro ogni pronostico, andarono più in alto di quanto fosse possibile immaginare. E non appena raggiunsero dei record di altitudine straordinari, su di loro si concentrò l’attenzione dei media e della politica mondiale. Gli alpinisti venivano assediati dalla stampa alle stazioni dei treni indiani, erano celebrati in film e in rappresentazioni teatrali. James Hilton creò la mitica Shangri-La in Orizzonte perduto mentre un eccentrico alpinista inglese di nome Maurice Wilson partiva per il Tibet per scalare l’Everest da solo e a bordo di un biplano che aveva appena imparato a pilotare. Intanto, nei corridoi del ministero nazista per la propaganda, i gerarchi scoprivano l’importanza di piantare la bandiera tedesca su un Ottomila.
Ambientato a Londra, a New York, in Germania, in Tibet e in India, I conquistatori del cielo è una storia non solo di alpinismo, ma anche di passione e ambizione, coraggio e follia, tradizione e innovazione, tragedia e trionfo. Ellsworth si muove fra le strade di Manhattan e di Berlino e le pareti scoscese del Nanga Parbat, in mezzo alle rivolte nel Kashmir e nel paesaggio rarefatto della Nuova Zelanda, dove un uomo di nome Hillary sognava di salire in cima all’Everest.
Détails du livre
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Éditeur
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Texte original
Oui -
Langue
Italien -
Langue d'origine
Anglais -
Date de publication
-
Nombre de pages
420 -
Traducteur
-
Collection
À propos de l'auteur
Scott Ellsworth
Scott Ellsworth, giornalista e studioso di storia, già ricercatore presso la Smithsonian Institution, collabora con il New York Times, il Washington Post e il Los Angeles Times. È autore di Death in a Promised Land, sul massacro razziale di Tulsa e di The Secret Game sul mondo del basket, che gli ha valso il 2016 PEN/ESPN Award for Literary Sports Writing. Vive con la moglie e i figli ad Ann Arbor ed è docente all’Università del Michigan.