La vanità della cavalleria e altre storie di guerra

La vanità della cavalleria

e altre storie di guerra

La vanità è sempre stata una prerogativa della cavalleria e degli uomini in divisa. Nel 1525 Francesco I di Valois, alla testa della cavalleria francese durante la battaglia di Pavia, disarcionato rischiò di vedersi tagliare le mani dai lanzichenecchi e dagli uomini dei tercios spagnoli desiderosi di arraffare i suoi anelli. Trine, merletti e sete erano merce comune tra gli uomini della cavalerie settecentesca. Durante la guerra dei sette anni, i francesi guidati dal principe di Soubise abbandonarono in fretta la cittadina di Gotha, lasciandosi dietro i propri bagagli, prontamente sequestrati dagli ussari di Hans Joachim von Zieten. Grande fu la sorpresa quando, una volta aperti i bauli, i soldati si trovarono davanti un guardaroba di lusso portato direttamente da Versailles: biancheria intima, mutandoni di seta dall’uso, per loro, così sconosciuto che mimarono una sfilata di moda infilandoseli sopra la testa. Friedrich Wilhelm von Seydlitz, una delle glorie della cavalleria prussiana, amava portare sul tricorno una spilla con diamanti e smeraldi cabochon. Qualche tempo dopo, quando Lord Brummel impose la “squisita originalità” del suo abbigliamento, fatto di giacche scure e pantaloni chiari, all’intero consesso di civili inglesi e poi europei, i colori divennero esclusivo privilegio dei militari. Durante feste e cerimonie i membri del governo e gli ufficiali civili sembravano becchini in trasferta, mentre i militari pavoni imbellettati. Nei secoli successivi la vanità dilagò tra le forze armate. Gli ufficiali austriaci vestiti sempre di bianco sono una delle immagini glamour che l’Ottocento ci ha lasciato. E il secolo che ci è alle spalle non è stato certo da meno. I Savoia che abbracciavano la carriera militare, come il duca d’Aosta, erano soliti portare cappelli fuori ordinanza: il più riuscito era di certo quello che amava indossare l’erede al trono Umberto II Savoia, chiamato «il pentolino», che andava perfettamente d’accordo con le immacolate ed elegantissime mollettiere portate coi calzoni da cavallo stretti al ginocchio. Gregor von Rezzori confessò che da giovanotto nullafacente fu tentato di militare nelle SS per ragioni puramente estetiche. Le SS avevano una divisa elegantissima con gli stivali più belli che si potessero immaginare, morbidi, lucidi e che davano un tocco particolare a tutto l’abito. Poi, fortunatamente, ci ripensò. Attraverso il brillante racconto della vanità della cavalleria e delle più celebri battaglie combattute a cavallo, dalla carica demenziale di Lord Cardigan a Balaklava, dove la Light Brigade venne sbaragliata dai cannoni russi, alla strage di Caporetto, Stefano Malatesta scrive un libro sulla guerra che non ha affatto il sentore di caserma e di burocrazia, ma appassiona come e più di un romanzo d’avventura.

«Malatesta possiede una sobrietà e una scrupolosa precisione del linguaggio che è raro incontrare oggi». la Repubblica

«Malatesta sa raccontare con fascinazione sempre divertita e maliziosa». Panorama

Détails du livre

  • Éditeur

  • Texte original

    Oui
  • Langue

    Italien
  • Langue d'origine

    Italien
  • Date de publication

  • Nombre de pages

    272
  • Collection

À propos de l'auteur

Stefano Malatesta

Stefano Malatesta è inviato del quotidiano la Repubblica da oltre venticinque anni. Tra le sue opere Il cammello battriano, Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani, Il Grande Mare di Sabbia, Il napoletano che domò gli afghani, La pescatrice del Platani. Dirige la collana di letteratura di viaggio «Il cammello battriano» per Neri Pozza. Ha vinto il Premio Albatros Palestrina, L’Este-Ferrara, il Comisso, il Settembrini regione veneta, il Premio Barzini per il miglior inviato speciale dell’anno e il Chatwin.

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