Sessant’anni fa fu ucciso il maggiore filosofo italiano del Novecento, Giovanni Gentile. A differenza del suo fraterno nemico, Benedetto Croce, Gentile fu dannato nella memoria accademica e civile perché fu fascista e da fascista fu ministro della Pubblica istruzione, ispiratore della dottrina fascista, impresario di cultura. (...) Fu ucciso perché non volle cambiare idea né tirarsi indietro di fronte alle responsabilità, al punto da accettare dopo anni di emarginazione dal regime, di assumere la guida dell’Accademia d’Italia al tempo della Repubblica sociale, in piena guerra civile. (...) Infine rivolse, pochi mesi prima di morire, dal Campidoglio, un discorso a tutti gli italiani con un appello accorato alla concordia e al superamento delle fazioni che suscitò l’ammirazione di molti italiani ma anche le ire di fascisti e antifascisti intransigenti. Gentile pensò il fascismo come il braccio secolare dell’Italia; il fascismo passa, l’Italia resta.
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Editore
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Testo originale
Sì -
Lingua
Italiano -
Lingua originale
Italiano -
Data di pubblicazione
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Numero di pagine
186 -
Argomento
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Collana
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Serie
Sull'autore
Massimo Donà
Massimo Donà, oltre che musicista jazz, è professore ordinario di Filosofia Teoretica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano.