Calcio di stato Il mondiale in Quatar e non solo: come lo sportwashing sta cambiando la geopolitica del pallone

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Il mondiale in Quatar e non solo: come lo sportwashing sta cambiando la geopolitica del pallone

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Sportwashing. Dai primi mesi del 2015 questa parola inizia a comparire sui giornali britannici e americani. Viene usata per indicare un fenomeno in espansione: sfruttare lo sport per ripulire l’immagine e la reputazione di un Paese agli occhi del mondo. A coniarla è un gruppo di attivisti per i diritti umani, in occasione degli European Games in Azerbaigian. Già da anni questa tendenza aveva preso piede anche altrove, in particolar modo nel Golfo Persico, come strategico esercizio di soft power. L’esempio più eclatante è rappresentato da Qatar 2022, il primo Mondiale invernale, organizzato dall’emirato nel raggio di settanta chilometri, tra stadi avveniristici e aride dune del deserto. Al termine di un controverso processo di assegnazione e di un decennio caratterizzato dalle migliaia di morti sul lavoro nella costruzione degli impianti, si celebrerà l’evento più atteso da una nazione che nel frattempo, a Parigi, ha dato vita alla squadra dei sogni a suon di acquisti milionari. Il PSG qatariota è la risposta al Manchester City e all’opulenza calcistica degli Emirati Arabi, un testa a testa osservato dall’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman con l’ambizione di colmare il divario rispetto ai rivali regionali e seguendo lo stesso spartito: grandi eventi, academy in patria e acquisizioni di società sportive in Europa, come accaduto con il Newcastle. In questo scenario cangiante una cosa è certa: il calcio e tutto il mondo dello sport stanno virando verso un nuovo epicentro, tra sconfinate risorse economiche e delicati equilibri geopolitici.

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Sull'autore

Giorgio Coluccia

Nato nel 1990 in provincia di Lecce, è giornalista professionista. Scrive su «Il Corriere dello Sport», «Il Giornale» e «Il Foglio». Ha pubblicato Binario 15 (Absolutely Free, 2018) e Città Stadio (Absolutely Free, 2020).

Federico Giustini

Nato a Roma nel 1989, è giornalista professionista. Appassionato di sport e dei suoi risvolti sociopolitici, dopo l’esperienza al «Corriere dello Sport», scrive di calcio, in particolar modo di quello internazionale, su «Il Foglio».

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